22/06/2024
Con ordinanza n. 17036 del 20 giugno 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione, intervenendo in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha ribadito il principio dell’obbligo del datore di lavoro di provare che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, in base a circostanze oggettivamente riscontrabili, altrimenti risultando il rispetto dell'obbligo di repéchage sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell'imprenditore (Cass. civ. 27 settembre 2018, n 23340); sicché, ai fini qui in esame, il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva costituisce elemento che il giudice deve valutare per accertare in concreto se il lavoratore licenziato fosse o meno in grado di espletare le mansioni di chi sia stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nello stesso livello o in un livello inferiore, in base a circostanze addotte dal datore medesimo verificabili oggettivamente, avuto riguardo alla specifica formazione e all'intera esperienza professionale del dipendente (Cass. civ. 13 novembre 2023, n. 31561).
D’altro canto, anche prima della novellazione dell’art. 2103 c.c., la Suprema Corte ha escluso l’esistenza di un obbligo del datore di lavoro di formazione professionale e riferito l’obbligo di repéchage limitatamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento (Cass. civ. 13 agosto 2008, n. 21579; Cass. civ. 8 marzo 2016 n. 4509; Cass. civ. 6 dicembre 2018, n. 31653), non essendo il primo tenuto a fornire al secondo un'ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro (Cass. civ. 11 marzo 2013, n. 5963). Ed ha pure giustificato l’affermazione per il bilanciamento del diritto al mantenimento del posto con quello del datore di lavoro a perseguire un'organizzazione aziendale produttiva ed efficiente, in coerenza con la ratio di numerosi interventi normativi, tutelabile senza la necessità (ove il demansionamento rappresenti l'unica alternativa al recesso datoriale), di un patto in tale senso anteriore o contemporaneo al licenziamento, nei limiti di una prospettazione, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, della possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale (Cass. civ. 19 novembre 2015, n. 23698; Cass. civ. 11 novembre 2019, n. 29099, in motivazione sub p.to 3.2; Cass. civ. 3 dicembre 2019, n. 31520, in motivazione sub p.ti da 43 a 48).
Tale principio ha orientato il legislatore delegante la novellazione dell’art. 2103 c.c. (ad opera dell’art. 3, comma 3, D.L.vo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”), che all’art. 1, comma 7, punto e) della L. 10 dicembre 2014, n. 183 ha in particolare, per la “revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”, fissato il principio direttivo del contemperamento del“l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. Ed esso, sia pure non esplicitamente recepito dalla norma delegata, ne costituisce ratio interpretativa, da declinare nelle diverse ipotesi di mutamento delle mansioni nella prestazione lavorativa. Sicché, nel caso in esame, di esercizio dello ius variandi datoriale, “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali”, incidente sulla posizione del lavoratore (art. 2103, comma 2, c.c.), pertanto di natura unilaterale e non concordata (come invece nella diversa ipotesi di stipulazione di un patto di demansionamento c.d. negoziale, ai sensi dell’art. 2103, comma 6, c.c., “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”), il principio da applicare è quello suenunciato di obbligo di repéchage limitatamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento (così anche: Cass. 19 aprile 2024, n. 10627, in motivazione, sub p.to 8). Ed esso trova sostanziale conferma nella chiara previsione, conseguente al mutamento di mansioni per la modifica degli assetti organizzativi aziendali, per la quale “il mancato adempimento” all’assolvimento “dell’obbligo formativo … non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni” (art. 2103, comma 3, c.c.).
All’esito la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio diritto: in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo datoriale di repéchage, anche ai sensi del novellato art. 2103, comma 2, c.c., è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il predetto non abbia.
Giovanna Spirito da Njus 20/06/2024