
Con ordinanza n. 15391 del 4 giugno 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affermato che, per “controlli difensivi” sui dipendenti, s’intendono i controlli diretti ad accertare comportamenti estranei al rapporto di lavoro illeciti o lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale e dunque non volti ad accertare l’inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali (cfr. Cass., sez. lav., 5 ottobre 2016, n. 19922).
Secondo un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell’art. 4 st. lav., ad opera dell’art. 23, D.L.vo n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 12 novembre 2021, n. 34092; Cass. civ., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25732).
Confermandosi che la legittimità dei controlli cd. difensivi in senso stretto presuppone il “fondato sospetto” del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più dipendenti, è stato, quindi, specificato che spetta al datore di lavoro l’onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, sia perché solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5, L. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento (Cass., sez. lav., 26 giugno 2023, n. 18168).
Il comma 1 dell’art. 4 L. n. 300/1970, come novellato nel 2015, si riferisce ora agli “impianti audiovisivi” e agli “altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.
Nel caso di specie, la Corte di merito ha constatato in fatto che i dati acquisiti attraverso il funzionamento dell’apparecchio telepass installato sull’autovettura in dotazione al lavoratore erano stati utilizzati ai fini della contestazione disciplinare, in difetto della copertura normativa.
È irrilevante il fatto che i dati dei transiti autostradali non siano forniti direttamente alla società datrice di lavoro dal dispositivo Telepass installato sull’autovettura, ma siano stati ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati.
Non assume, infatti, rilievo che quei dati non siano acquisiti dalla datrice di lavoro direttamente (ma dal soggetto terzo che fornisce a pagamento tale servizio) e, per così dire, in tempo reale (come potrebbe essere per i dati di un sistema di cd. geolocalizzazione o satellitare GPS: v. Cass. civ. n. 19922/2016 cit.).
Ciò non toglie che l’apparecchio telepass installato per iniziativa datoriale sull’autovettura pure messa a disposizione del lavoratore per lo svolgimento delle sue prestazioni di tecnico trasfertista consente all’atto dei transiti autostradali (in entrata e in uscita) la registrazione dei relativi dati, che, una volta forniti al datore di lavoro da chi gestisce il sistema telepass, consentono un controllo a distanza, sebbene postumo, dell’attività del lavoratore.
Del resto, è proprio questo tipo di controllo che è sotteso alla contestazione disciplinare, e lo riconosce la stessa ricorrente nel secondo motivo di ricorso, dove si ammette che pure il controllo sui rendiconti relativi all’apparato Telepass era finalizzato anche a prevenire abusi del dipendente; tanto però in una chiave “difensiva” neppure trattata in secondo grado, come già notato. È in ogni caso ininfluente la circostanza che il dipendente avrebbe potuto disattivare il dispositivo Telepass, “togliendolo dal parabrezza dell’autovettura e collocandolo in un cassetto o, più semplicemente, non utilizzando, al casello, la corsia munita di ricevitore ma una di quelle abilitate all’erogazione del tagliando e al pagamento manuale”.
È di tutta evidenza, infatti, che la teorica o concreta possibilità in capo al lavoratore di sottrarsi al controllo tecnologico a distanza della sua attività non può rendere utilizzabili i dati risultati da un tale controllo in ordine al quale il lavoratore non è stato previamente e adeguatamente informato “delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”, come sancito dal comma 3 dell’art. 4 cit.
Inoltre, parte della dottrina specialistica è del parere che il telepass, se installato su auto aziendali destinate allo svolgimento di specifici servizi, si deve considerare uno strumento direttamente funzionale all’efficienza della singola prestazione, oltre che ormai fortemente compenetrato con essa nell’odierna pratica lavorativa, sicché il telepass così contestualizzato rientra nell’ambito applicativo del comma 2 dell’art. 4 L. n. 300/1970 novellato.
Tuttavia, le informazioni, così “raccolte” a mente appunto di quest’ultima previsione, giusta il successivo comma 3, sono “utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (e quindi anche, ma non soltanto, ai fini disciplinari) solo “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, oltre che “nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”. Infine, a fronte di quanto specificamente previsto dal comma 3 dell’art. 4 L. n. 300/1970, è irrilevante la “consapevolezza del dipendente sulla presenza dell’apparato Telepass sull’autovettura e sulle corrette modalità di uso dello stesso”, essendo necessaria invece tale precipua informativa al lavoratore, della quale i giudici di secondo grado nella specie hanno constatato l’assenza.
Giovanna Spirito da Njus 03/06/2024