
Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale
Comunicato del 16 luglio 2024
JOBS ACT: LA TUTELA REINTEGRATORIA ATTENUATA SI
APPLICA ANCHE AL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO
MOTIVO OGGETTIVO IN CASO DI INSUSSISTENZA DEL FATTO
MATERIALE ED AL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE INTIMATO
PER UN FATTO PUNITO DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
SOLO CON UNA SANZIONE CONSERVATIVA
La Corte costituzionale (sentenza n. 128 del 2024) ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, nella parte in cui
non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in
giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla
quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (c.d.
repêchage).
Con riguardo alla stessa disposizione, la Corte (sentenza n. 129 del 2024) ha ritenuto
non fondata la questione, sollevata in riferimento ad un licenziamento disciplinare
basato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevedeva una
sanzione conservativa, a condizione che se ne dia un’interpretazione adeguatrice.
Ossia deve ammettersi la tutela reintegratoria attenuata nelle particolari ipotesi in
cui la regolamentazione pattizia preveda che specifiche inadempienze del lavoratore,
pur disciplinarmente rilevanti, siano passibili solo di sanzioni conservative.
Quanto alla prima pronuncia, la Sezione lavoro del Tribunale di Ravenna aveva
censurato, sotto diversi profili, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 23 del 2015 per il
licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo nella parte in cui esclude
la tutela reintegratoria nell’ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto, a
differenza di quanto previsto per il licenziamento disciplinare fondato su di un fatto
contestato insussistente.La Corte ha accolto le questioni sollevate in riferimento ai parametri di cui agli artt.
3, 4 e 35 Cost. rilevando che, seppure la ragione d’impresa posta a fondamento del
giustificato motivo oggettivo di licenziamento non risulti sindacabile nel merito, il
principio della necessaria causalità del recesso datoriale esige che il “fatto materiale”
allegato dal datore di lavoro sia “sussistente”, sicché la radicale irrilevanza
dell’insussistenza del fatto materiale prevista dalla norma censurata determina un
difetto di sistematicità che rende irragionevole la differenziazione rispetto alla
parallela ipotesi del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
La discrezionalità del legislatore nell’individuare le conseguenze dell’illegittimità del
licenziamento non si estende, infatti, fino a consentire di rimettere questa alternativa
ad una scelta del datore di lavoro che, intimando un licenziamento fondato su un
“fatto insussistente”, lo qualifichi come licenziamento per giustificato motivo
oggettivo piuttosto che come licenziamento disciplinare.
Precisa, infine, la Corte che il vizio di illegittimità costituzionale, invece, non si
riproduce qualora il fatto materiale, allegato come ragione d’impresa, sussiste sì, ma
non giustifica il licenziamento perché risulta che il lavoratore potrebbe essere
utilmente ricollocato in azienda. Ne consegue che la dichiarazione di illegittimità
costituzionale della disposizione censurata deve tener fuori la possibilità di
ricollocamento del lavoratore licenziato per ragioni di impresa, non diversamente da
come la valutazione di proporzionalità del licenziamento alla colpa del lavoratore è
stata tenuta fuori dal licenziamento disciplinare fondato su un fatto insussistente.
Quindi, la violazione dell’obbligo di repêchage attiverà la tutela indennitaria di cui al
comma 1 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.
Quanto alla seconda sentenza, la Sezione lavoro del Tribunale di Catania aveva
censurato il mancato riconoscimento ad opera della stessa norma della tutela
reintegratoria quando, per l’inadempienza del lavoratore contestata dal datore di
lavoro, che si riveli “sussistente”, sia la stessa contrattazione collettiva a prevedere
una sanzione conservativa.
La Corte, pur ritenendo complessivamente infondate le questioni sollevate in
riferimento a plurimi parametri, ha fornito una interpretazione adeguatrice della
disposizione censurata orientata alla conformità all’art. 39 Cost.Premesso che la natura “disciplinare” del recesso datoriale comporta l’applicabilità
del canone generale della proporzionalità, secondo cui l’inadempimento del
lavoratore deve essere caratterizzato da una gravità tale da compromettere
definitivamente la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto, la Corte
ha ribadito la valutazione di adeguatezza e sufficiente dissuasività dell’apparato
complessivo di tutela nei confronti del licenziamento illegittimo contenuto nel d.lgs.
n. 23 del 2015, come novellato dal d.l. n. 87 del 2018 ed emendato dalle sue
precedenti pronunce, anche in riferimento alle ipotesi in cui il licenziamento
disciplinare risulti “sproporzionato” rispetto alla condotta e alla colpa del lavoratore
per le quali è prevista la tutela indennitaria.
Quanto, però, alla prospettata violazione dell’art. 39, la Corte ha affermato che la
disposizione censurata deve essere letta nel senso che il riferimento alla
proporzionalità del licenziamento ha sì una portata ampia, tale da comprendere le
ipotesi in cui la contrattazione collettiva vi faccia riferimento come clausola generale
ed elastica, ma non concerne anche le ipotesi in cui il fatto contestato sia in radice
inidoneo, per espressa pattuizione contrattuale, a giustificare il licenziamento, le
quali vanno invece equiparate a quelle dell’«insussistenza del fatto materiale».
La mancata previsione della reintegra quando il fatto contestato sia punito con una
sanzione solo conservativa dalla contrattazione collettiva andrebbe ad incrinare il
tradizionale ruolo di quest’ultima nella disciplina del rapporto.
In conclusione, all’esito di queste due pronunce, vi è simmetria tra licenziamento
disciplinare e licenziamento per ragione di impresa, tracciata dalla Corte sulla linea
del “fatto materiale insussistente”.
Roma, 16 luglio 2024
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