La inesistenza del dovere di omertà del lavoratore

Con ordinanza n. 33452 del 19 dicembre 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha riconosciuto al lavoratore il diritto di denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti in azienda come distinto dal diritto di critica, attinente invece alle opinioni espresse dal lavoratore nello svolgimento o in relazione al rapporto di lavoro e attratto nella tutela di cui all’art. 21 Cost..

 

La giurisprudenza ha parimenti escluso che il diritto di denuncia operi nei ristretti limiti dell’art. 633 c.p.p., essendo lo stesso, invece, comprensivo di segnalazioni rivolte anche all’autorità amministrativa (v. Cass. civ. n. 4125 del 2017 a proposito della condotta del lavoratore che denuncia all’autorità giudiziaria o amministrativa competenti fatti di reato o illeciti amministrativi commessi dal datore di lavoro).

 

Nei precedenti giurisprudenziali si è sottolineato il nesso tra il diritto di denuncia e l’interesse pubblico a che il lavoratore, come ogni cittadino, collabori alla segnalazione di condotte illecite. Si è infatti escluso che l'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c. possa essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati all'interno dell'azienda, giacché in tal caso si correrebbe il rischio di scivolare verso – non voluti, ma impliciti – riconoscimenti di una sorta di "dovere di omertà" (ben diverso da quello di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c.) che, ovviamente, non può trovare la benché minima cittadinanza nel nostro ordinamento (Cass. civ. n. 4125 del 2017; n. 6501 del 2013).

 

Su questa chiara direttrice si muove la legislazione in materia di wistelblowing, di cui alla L. n. 197 del 2017 e al recente D.L.vo n. 24 del 2023, di attuazione della direttiva UE 2019/1937, entrambi non applicabili ratione temporis. Con indirizzo unanime si è affermato che la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti in azienda non può di per sé integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, a condizione che non emerga il carattere calunnioso della denuncia medesima, che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e, quindi, la volontà di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi, e purché il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.

 

Si è ulteriormente specificato che, a differenza delle ipotesi in cui è in discussione l’esercizio del diritto di critica, in caso di denuncia penale (o amministrativa) presentata dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro non rilevano i limiti della continenza sostanziale e formale, superati i quali la condotta assume carattere diffamatorio, e, quindi, può avere rilevanza disciplinare, giacché ogni denuncia si sostanzia nell'attribuzione a taluno di un reato (o illecito amministrativo), per cui non sarebbe logicamente e giuridicamente possibile esercitare la relativa facoltà senza incolpare il denunciato di una condotta obiettivamente disonorevole (Cass. civ. n. 22375 del 2017; Cass. civ. n. 4125 del 2017; Cass. civ. n. 15646 del 2003).

Giovanna Spirito da Njus 20/12/2024