In materia di infortunio sul lavoro, la Corte di Cassazione civile, sez. lav., n. 5814/2022 , si è pronunciata sulla qualificazione del decesso di un lavoratore durante un viaggio di lavoro in termini di infortunio in itiinere, riconoscendo sia la presenza della causa violenta cui ha fatto seguito il danno fisico a carico dell’infortunato che l’occasione di lavoro.

L’infortunio sul lavoro è definito dall’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), come l’infortunio avvenuto «per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni».

I contorni della nozione in esame si sono ampliati nel corso del tempo, annoverando anche il c.d. “infortunio in itinere”, ossia l’infortunio occorso ai lavoratori durante il normale percorso: i) di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; ii) che collega due luoghi di lavoro, qualora il lavoratore abbia più rapporti di lavoro; iii) di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti, in mancanza di un servizio mensa aziendale. È ammessa la possibilità che il “normale percorso” subisca in terruzioni o deviazioni, qualora queste siano necessarie, in quanto dovute a i) cause di forza maggiore; ii) esigenze essenziali e improrogabili; iii) adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

.La giurisprudenza ha, infatti, riconosciuto la natura di infortunio in itinere a fattispecie tra loro disomogenee, quali, a titolo esemplificativo, al lavoratore infortunato a seguito della scelta del percorso più scosceso tra i due sentieri di accesso al luogo di lavoro ( nonché al lavoratore rientrato presso la sua abitazione dopo che si era trattenuto sul luogo di lavoro oltre la fine del turno

Nel primo caso, l’infortunio è stato ritenuto indennizzabile in quanto ricollegabile alle finalità aziendali, nonostante si fosse verificato a seguito di un comportamento imprudente del lavoratore, mentre nel secondo caso, l’infortunio è stato riconosciuto poiché il lavoratore si era tratttenuto sul luogo di lavoro per ragioni comunque connesse all’attività lavorativa.

Il caso concreto, oggetto della sentenza n. 5814/2022 della Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, attiene al ricorso proposto dagli eredi del lavoratore deceduto, volto ad ottenere la rendita ai superstiti di cui all’art. 85, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.

Nello specifico, il decesso del lavoratore era avvenuto durante un viaggio di lavoro in Cina, a causa di una situazione di forte stress lavorativo, determinatasi a seguito della cancellazione di un volo aereo per maltempo che lo aveva costretto ad una lunga attesa in aeroporto, ad un pernottamento di fortuna in un albergo e ad un successivo viaggio in treno di oltre 700 chilometri per poter presenziare a una riunione importante, con un periodo di veglia di quasi 24 ore consecutive. Il lavoratore era stato trovato senza vita nella sua camera d’albergo in Cina.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati, nei limiti della motivazione data, entrambi i motivi di ricorso, richiamando i consolidati orientamenti giurisprudenziali al fine di scalfire le argomentazioni e gli approdi del merito.

In linea generale, la causa violenta richiesta per l’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro si concreta in un «evento che con forza concentrata e straordinaria agisca, in occasione di lavoro, dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo ad alterazioni lesive».

Pertanto, per avere rilievo ai fini assicurativi, la causa dell’infortunio sul lavoro deve essere esterna, ossia connessa all’ambiente di lavoro, e rapida, concentrata in un arco temporale brevissimo. La rapidità è funzionale a distinguere l’in- fortunio sul lavoro dalla malattia professionale, tipicamente a “causa lenta”.

Sulla scorta di quanto enucleato nel corso degli anni dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, la causa violenta può essere individuata in ipotesi tra loro diverse. A titolo esemplificativo, la Cassazione ritiene che la causa violenta si possa ravvisare sia nello sforzo fisico messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso sia diretto a vincere una resistenza peculiare dell’attività lavorativa in questione e del relativo ambiente , sia nell’azione di fattori microbici o virali , sia nello stress emotivo o psicologico, come nel caso in esame, ove viene esplicitamente previsto che «anche lo stress psico in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo) una malattia professionale»

Preme peraltro ricordare che lo stesso infarto è annoverato pacificamente dalla giurisprudenza nella categoria degli infortuni sul lavoro. La Suprema Corte, nel caso di specie, richiama infatti il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce all’infarto il carattere violento della causa da individuarsi nella sua stessa natura, alllorché vi sia “una rottura dell’equilibrio dell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione temporale”.

La rilevanza giuridica non è pertanto esclusa dalla mera considerazione che la causa abbia una «natura interna» , qualora essa sia avvenuta in occasione di lavoro, ossia possa considerarsi connessa con l’attività lavorativa e abbia una «contiguità topografica» , ossia si sia verificata nel corso dell’attività lavorativa.

Non vale ad escludere il ruolo causale dell’attività lavorativa nemmeno una preesistente condizione patologica del lavoratore, rilevando anzi in senso contrario e nella misura in cui può rendere più rischiose attività notoriamente non connotate da pericolosità e giustificare il nesso intercorrente tra lo svolgimento della prestazione lavorativa e l’infortunio.

Ai fini della copertura assicurativa, è necessario anche che l’infortunio sia occorso «in occasione di lavoro». La locuzione esprime il requisito della “professionalità del rischio”, ossia da un lato «il rischio deve essere non estraneo all’attività lavorativa, o a ciò che ad essa è connesso od accessorio», dall’altro lato l’evento «deve essere(non causato ma) occasionato dal lavoro, nel senso che deve avere con questo un collegamento non meramente marginale».

È pertanto sufficiente che il fatto sia meramente ricollegabile all’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, anche con riguardo ad un nesso di carattere finalistico, concetto peraltro ribadito a chiare lettere dalla Corte di Cassazione nel caso di specie («la sussistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. “percorso normale” e l’attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica»).

La Suprema Corte conferma l’ampliamento della tutela assicurativa in materia di infortunio in itinere, estendendola a qualsiasi infortunio che si sia verificato lungo il percorso da casa al luogo di lavoro, escludendo qualsivoglia rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui sia addetto l’infortunato. In linea generale, è quindi sufficiente che il lavoratore sia esposto al rischio della strada per motivi legati al lavoro, indipendentemente dalle caratte- ristiche del percorso stesso.

La tutela comprende quindi il rischio generico del percorso, cui soggiace il lavoratore, rimanendo escluso solo il c.d. “rischio elettivo”, ossia causato dalla condotta del lavoratore, volontaria ed arbitraria, eccezionale, abnorme ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, volta a soddisfare un impulso strettamente personale del lavoratore e tale da determi- nare un rischio diverso da quello a cui il lavoratore sarebbe assoggettato.

La condotta in questione è di per sé idonea ad interrompere qualsivoglia condotta colposa dell’imprenditore, nella misura in cui l’attività posta in essere dal lavoratore esorbiti dallo svolgimento della sua prestazione lavorativa.

In definitiva, con il trascorrere del tempo, la nozione di infortunio, specie in itinere, è stata progressivamente definita sia dal Legislatore che in sede giurisprudenziale.

Da ultimo, la Suprema Corte ha ritenuto di poter riconoscere la tutela in questione anche all’evento morte occorso in costanza di un viaggio di lavoro. Da un lato, è stata ribadita l’idoneità dell' l’infarto dovuto ad una situazione di stress psi- cologico ed ambientale ad integrare la causa violenta necessaria al verificarsi di un infortunio sul lavoro, qualora eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo, sia pure anche in presenza di una preesistente condizione patologica del lavoratore. Dall’altro, si è ravvisata nel viaggio di lavoro, l’occasione di lavoro intesa quale sussistenza di un rapporto finalistico intercorrente tra il percorso normale e l’attività lavorativa.

Fonte: Diritto e pratica del lavoro 13/24