Illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore ritratto in un video, postato su una chat WhatsApp, lesivo della immagine della società datrice
Con sentenza n. 5334 del 28 febbraio 2025, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha reputato illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore ritratto in un video, postato su una chat WhatsApp, lesivo della immagine della società datrice di lavoro.
Già in precedenza (Cass. civ. n. 21965 del 2018), si è affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, i messaggi scambiati in una "chat" privata, seppure contenenti commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso poiché, essendo diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone, vanno considerati come la corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, e sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito riservato, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie ma si impone l'esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse. Si è quindi escluso il carattere illecito - da un punto di vista oggettivo e soggettivo - della condotta contestata al dipendente in quanto riconducibile alla libertà, costituzionalmente garantita, di comunicare riservatamente.
È indubbio che, nel caso di specie, la condotta contestata in via disciplinare al lavoratore sia attratta nel raggio di protezione dell’art. 15 Cost., atteso che il messaggio è stato inviato a persone determinate, facenti parte della chat ristretta dei dipendenti del negozio, e le caratteristiche tecniche del mezzo di comunicazione adoperato, WhatsApp, riflettono in modo inequivoco la volontà della mittente di escludere terzi dalla conoscenza del messaggio e soddisfano il requisito di segretezza della corrispondenza.
La nozione di giusta causa di licenziamento è collegata a comportamenti che si concretano nella violazione degli obblighi facenti capo al lavoratore, individuati come obblighi di conformazione, diligenza e fedeltà, strettamente connessi all’osservanza delle prescrizioni attinenti all'organizzazione aziendale e ai modi di produzione e agli interessi dell'impresa.
Anche il rilievo disciplinare di condotte extralavorative dei dipendenti è, comunque, subordinato alla idoneità delle stesse di riflettersi, in senso negativo, sul rapporto fiduciario e sulla prospettiva di regolare esecuzione della prestazione (v. Cass. civ. 8390 del 2019; n. 428 del 2019; n. 12994 del 2018).
Non rientra tra le prerogative datoriali un potere sanzionatorio di tipo meramente morale nei confronti dei dipendenti, tale da comprimere o limitare spazi di libertà costituzionalmente protetti, come quello concernente la corrispondenza privata. Da ciò discende che la garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza privata e il diritto alla riservatezza nel rapporto di lavoro, presidi della dignità del lavoratore, impediscono di elevare a giusta causa di licenziamento il contenuto in sé delle comunicazioni private del lavoratore, trasmesse col telefono personale a persone determinate e con modalità significative dell’intento di mantenere segrete le stesse, a prescindere dal mezzo e dai modi con cui il con cui il datore di lavoro ne sia venuto a conoscenza.
Giovanna Spirito Njus
la Corte Costituzionale con sentenza 170/23 ha affermato:
< Posto che quello di «corrispondenza» è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20 del 2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030 del 1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81 del 1993). Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi.>>