Con sentenza n. 7479 del 20 marzo 2025, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato la questione del degli effetti, sul piano del trattamento economico, nell’ambito del procedimento disciplinare, della sospensione cautelare dal servizio, dapprima obbligatoria per detenzione in carcere e poi facoltativa, intervenute quando già vi era uno stato di malattia del pubblico dipendente.

Rispetto alla sospensione obbligatoria dal servizio, è costante l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore subordinato non rientra tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall'art. 2110 c.c., e comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima, senza che – ove la detenzione concorra con il provvedimento di sospensione cautelare disposto dal datore di lavoro in pendenza del procedimento penale – possa essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione (così Cass. civ. 25 giugno 2013, n. 15941; analogamente, per quanto in tema di cassa integrazione guadagni, Cass. civ. 9 settembre 2011, n. 18528; Cass. civ. 16 ottobre 1990, n. 10087).

L’inapplicabilità della tutela di cui all’art. 2110 c.c. si riporta in questi casi al fatto – i virgolettati risalgono a Cass. civ. 10087/1990 cit. – che «il lavoratore "assente" per carcerazione preventiva si trova certamente – non per fatti involontari o comunque tutelati dalla legge – in condizione di non potere riprendere il lavoro», sicché la pregressa malattia intercetta un successivo fatto impeditivo della prestazione che risale a responsabilità del dipendente e che, in via assorbente, non consente l’accesso alle tutele.

Ciò è del resto pienamente coerente con l’ulteriore principio per cui lo stato di malattia del lavoratore, mentre preclude al datore di lavoro l'esercizio del potere di recesso per giustificato motivo, non gli impedisce l'intimazione del licenziamento per giusta causa, eventualmente preceduta da una sospensione cautelare, non avendo ragion d'essere la conservazione del posto in periodo di malattia di fronte alla riscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione neppure in via temporanea del rapporto (Cass. civ. 6 agosto 2001, n. 10881; Cass. civ. 25 agosto 2003, n. 12481; Cass. civ. 22 febbraio 1995, n. 2019).

Il che tra l’altro evidenza l’infondatezza della considerazione in ordine al rischio della elusione del divieto di licenziamento in presenza di malattia, infortunio o maternità. Infatti, a parte l’infortunio o la maternità che qui non vengono in rilievo, in caso di malattia tout court non è precluso, come da giurisprudenza citata, il licenziamento per giusta causa.

In conclusione, per la Suprema Corte, il ricorrere di un fatto impeditivo della prestazione che risale a responsabilità del lavoratore non consente di giovarsi degli effetti utili delle tutele derivanti dallo stato di malattia e di cui all’art. 2110 c.c..