
Trib. Napoli, III sez. lav., ord. 31 marzo 2025; giudice Coppola
Con l’ordinanza in esame il Tribunale di Napoli ha sollevato questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea in ordine alla conformità al diritto europeo del regime di prescrizione dei contributi previdenziali.
I. – A seguito dell’accertamento giudiziale di una interposizione irregolare di manodopera nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro irregolare, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere da maggio 2003, un lavoratore agisce in giudizio al fine di ottenere il versamento dei contributi previdenziali sulle retribuzioni per il periodo dal 1° maggio 2003 al dicembre 2015 non versati dal datore di lavoro in quanto ritenuti prescritti dall’Inps.
Costituitosi in giudizio, l’istituto previdenziale rileva che per i periodi coperti da prescrizione i contributi sono irricevibili a norma del combinato disposto degli art. 3, comma 9, l. 8 agosto 1995 n. 335 e 55, comma 2, r.d.l. 14 aprile 1935 n. 1827.
Pertanto, il datore di lavoro non può più effettuare il versamento dei contributi prescritti e, stante la mancata operatività del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, previsto dall’art. 27, comma 2, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, novellato dall’art. 40 l. 30 aprile 1969 n. 159, al lavoratore residua unicamente la possibilità di costituire la rendita vitalizia.
II. – Il Tribunale di Napoli, dato atto che quanto affermato dall’Inps è conforme al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, pone alla Corte di giustizia una serie di quesiti al fine di verificare se possa concludersi nel senso dell’assenza di prescrizione e condannare il datore di lavoro al versamento contributivo.
Osserva il giudice rimettente che la direttiva 91/533/Cee, in vigore all’epoca dei fatti, imponeva al datore di lavoro l’obbligo di fornire al lavoratore subordinato, in forma scritta, gli elementi essenziali del contratto o del rapporto di lavoro, tra i quali, ai sensi dell’art. 2, rientrano l’importo base iniziale della retribuzione, gli ulteriori elementi costitutivi del trattamento economico e la frequenza del pagamento.
Tali informazioni, ai sensi del par. 3 dello stesso articolo, possono risultare anche da un rinvio a fonti legislative, regolamentari, amministrative o collettive, purché chiaramente individuate. La ratio della direttiva non si esaurisce, tuttavia, nel mero obbligo di informazione.
L’art. 8 impone, infatti, agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie affinché i lavoratori possano far valere in ogni momento i «diritti» riconosciuti dalla direttiva, anche per via giudiziaria. Secondo la pronuncia in esame, l’utilizzo del termine al plurale induce a ritenere che l’intento del legislatore europeo non fosse unicamente quello di garantire il diritto all’informazione, bensì la tutela effettiva di tutti i diritti sostanziali che dal contratto o rapporto di lavoro derivano, e che trovano prima manifestazione nel documento scritto di assunzione.
III. – Tale interpretazione troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha più volte qualificato la pensione, quando collegata in via diretta alla retribuzione percepita e agli anni di servizio, come retribuzione differita. In particolare, si ritiene tale la prestazione che, pur essendo erogata da un ente previdenziale, trae causa dal rapporto di lavoro e non da un’esigenza assistenziale o solidaristica di carattere generale (cfr. Corte giust. 17 aprile 1997, causa C-147/95, Evrenopoulos; 25 maggio 2000, causa C-50/99, Podesta; 1° aprile 2008, causa C-267/06, Maruko, tutte in ForoPlus).
IV. – Nel sistema previdenziale italiano, la struttura della pensione, in particolare a seguito della riforma introdotta dalla l. n. 335 del 1995, è fondata su un criterio contributivo. L’ammontare della prestazione pensionistica è infatti determinato moltiplicando il montante individuale dei contributi (proporzionali alla retribuzione mensile) per un coefficiente di trasformazione legato all’età dell’assicurato al momento del pensionamento.
Ne deriva che l’importo della pensione è direttamente correlato al quantum retributivo e alla durata del rapporto assicurativo, elementi tipici della retribuzione differita. In tale contesto, la pensione, anche se corrisposta da un ente pubblico e gestita secondo criteri pubblicistici, non perde la propria natura retributiva laddove sia riservata a una determinata categoria di lavoratori e il suo ammontare sia determinato, anche solo in via prevalente, sulla base della retribuzione percepita.
Pertanto, essa rientra nel novero dei diritti sostanziali connessi al rapporto di lavoro e, come tale, deve essere oggetto di adeguata tutela anche attraverso il sistema informativo previsto dalla direttiva. Ne consegue che lo Stato membro è tenuto non solo a garantire formalmente la comunicazione degli elementi contrattuali, ma anche a predisporre strumenti idonei a garantire l’effettività dei diritti patrimoniali che ne derivano, inclusa la retribuzione differita sotto forma di trattamento pensionistico.
Tuttavia, il tribunale dubita che la normativa interna sia idonea a garantire tale tutela effettiva. Nel sistema previdenziale italiano, l’art. 2116 c.c. stabilisce il diritto del lavoratore a ricevere le prestazioni previdenziali, anche in caso di omissione contributiva da parte del datore di lavoro, salvo diversa previsione delle leggi speciali.
La giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione ha precisato che non esiste nel nostro ordinamento «un’azione dell’assicurato volta a condannare l’ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva» (cfr. Cass., sez. lav., 9 gennaio 2024, n. 701, ForoPlus; 11 settembre 2023, n. 26248, Foro it., 2024, I, 943; in termini analoghi, Cass., sez. lav., 10 marzo 2021, n. 6722 e 1° febbraio 2021, n. 2164, Foro it., 2021, I, 1620 e 1621), nemmeno quando l’omissione sia stata tempestivamente denunciata prima della prescrizione, ma l’Ente previdenziale non si sia attivato nei confronti del datore di lavoro lasciando decorrere il termine prescrizionale (cfr. Cass. 9 gennaio 2024, n. 701, cit.).
In tale ipotesi, decorso il termine prescrizionale, l’unico strumento a disposizione del lavoratore è l’azione risarcitoria contro il datore di lavoro ex art. 2116, comma 2, c.c., o la surroga per la costituzione della rendita vitalizia ai sensi dell’art. 13 l. n. 1338 del 1962. T
Tuttavia, il danno risarcibile sorge solo al momento della maturazione del diritto alla prestazione previdenziale, con la conseguenza che il lavoratore è tenuto ad attendere il raggiungimento dell’età pensionabile per poter far valere il pregiudizio subìto. Il diritto all’accredito contributivo non può, pertanto, essere fatto valere prima della maturazione del diritto alla pensione, con l’effetto che eventuali omissioni contributive si prescrivono irreversibilmente, incidendo negativamente sull’importo pensionistico spettante.
Tale assetto normativo risulta particolarmente rigido: la prescrizione quinquennale decorre anche nel corso del rapporto di lavoro e non è sospesa dalla pendenza dello stesso, a differenza di quanto avviene per i crediti retributivi, per i quali la decorrenza è sospesa in presenza di un rapporto privo di reale stabilità, in ragione del timore di ritorsioni da parte del datore di lavoro
. La Corte costituzionale, sin dalla pronuncia del 1° giugno 1966, n. 63, (Foro it., 1966, I, 1652, con nota di G. Pera, Sulla decorrenza della prescrizione per il diritto al salario) (*), ha infatti riconosciuto che il metus lavorativo impedisce l’esercizio sereno dei diritti in costanza del rapporto, giustificando la sospensione della prescrizione per i crediti retributivi.
Nel caso delle contribuzioni previdenziali, invece, il lavoratore non solo non può interrompere la prescrizione, ma non può nemmeno beneficiare del raddoppio del termine decennale previsto dall’art. 3, comma 9, l. 335/95, se l’omissione si è verificata dopo l’entrata in vigore della norma.
La situazione è aggravata dal fatto che l’unica modalità per impedire la prescrizione è l’attivazione giudiziale, condizionata però alla costituzione in giudizio dell’Inps e alla sua effettiva rivendicazione del credito contributivo. Il contrasto tra il regime della prescrizione dei contributi e quello dei crediti retributivi è netto: nel primo caso, il lavoratore deve agire tempestivamente in giudizio durante il rapporto di lavoro, pena la decadenza del diritto; nel secondo, può attendere la cessazione del rapporto senza subire pregiudizi.
Questo squilibrio appare irragionevole, specie alla luce del fatto che il diritto alla pensione, riconosciuto come retribuzione differita, dipende da contributi il cui mancato versamento può determinare la perdita integrale della prestazione, con effetti profondamente lesivi sul piano economico e sociale.
V. – Nel caso di specie, la situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che il lavoratore ha prestato attività in un contesto di somministrazione illecita di manodopera, accertata con sentenza della Corte d’appello di Napoli. In tale contesto, il lavoratore risultava privo delle tutele previste per i contratti a tempo indeterminato, versando quindi in una posizione di maggiore fragilità e assoggettamento, incompatibile con la pretesa di una sua tempestiva e autonoma attivazione per la tutela del proprio diritto alla contribuzione, in un quadro in cui la tutela previdenziale risulta eccessivamente subordinata all’azione spontanea del lavoratore.
VII. – Il giudice nazionale chiede, quindi, alla Corte di giustizia innanzitutto se l’art. 8 della direttiva 91/533/Cee debba essere interpretato nel senso che la tutela garantita dallo Stato membro si riferisca esclusivamente al diritto del lavoratore a ricevere il documento scritto contenente gli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 2, oppure se tale tutela si estenda anche ai diritti sostanziali che devono essere indicati nel documento medesimo, e in particolare al diritto alla retribuzione.
Nell’ipotesi in cui la Corte riconosca che l’art. 8 protegge anche i diritti sostanziali menzionati nel documento di assunzione, si solleva la questione se la pensione che sarà percepita dal lavoratore – determinata in base alla retribuzione percepita e alla contribuzione versata – possa qualificarsi come retribuzione differita, e quindi rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva. A fronte di risposte affermative ai quesiti precedenti, si chiede se anche il diritto del lavoratore al corretto versamento dei contributi previdenziali – che incide direttamente sulla maturazione e sull’entità del trattamento pensionistico – sia da considerarsi tutelato dall’art. 8 della direttiva 91/533/Cee.
Il giudice si interroga, quindi, sulla compatibilità con l’art. 8 della direttiva della normativa interna che impone al lavoratore, durante il rapporto di lavoro, di intraprendere un’azione giudiziaria nei confronti del datore di lavoro, e dell’Inps, per ottenere il versamento dei contributi, al fine di evitare la prescrizione del diritto alla prestazione pensionistica, e ciò anche quando non abbia una protezione sufficiente avverso un licenziamento illegittimo, rischiando in tal modo il licenziamento ovvero la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro tutelato dalla direttiva 2008/104/Ce.
Infine, in caso di risposta positiva ai quesiti precedenti, si domanda quali siano gli strumenti giuridici che il giudice nazionale può adottare per garantire l’effettività della tutela prevista dall’art. 8 della direttiva. In particolare, ci si chiede se l’equiparazione del regime prescrizionale tra retribuzioni e contributi possa rappresentare una misura idonea a soddisfare gli obblighi imposti dal diritto dell’Unione.
VIII. – La pronuncia annotata appare di sicuro interesse nell’affrontare il tema della tutela della posizione assicurativa del lavoratore, ponendo in luce le criticità poste dai recenti orientamenti della Corte di cassazione, che hanno modificato il precedente assetto normativo, sia sul piano sostanziale sia sul piano processuale (cfr., in tal senso, R. Riverso, L’azzeramento della tutela della posizione contributiva del lavoratore nella recente giurisprudenza di legittimità, in Lavoro giur., 2023, 113)
. E invero, come pure ricorda la pronuncia in commento, la Cassazione ha affermato l’inesistenza di un’azione a tutela della posizione contributiva nei confronti dell’Inps, anche ove si discuta di contributi non prescritti (cfr. da ultimo Cass. n. 701 del 2024, cit.) e, dal punto di vista soggettivo, ha escluso l’applicazione della tutela dell’automaticità delle prestazioni e delle contribuzioni al collaboratore coordinato e continuativo (cfr. Cass. 30 aprile 2021, n. 11430, Foro it., 2021, I, 2359; Riv. Dir. sicurezza sociale, 2022, 171, con nota di A. Andreoni, Collaboratori coordinati e continuativi e (negata) automaticità delle prestazioni previdenziali, e id., 2021, 648, con nota di D. Mesiti, Sull’ambito soggettivo del principio di automatismo delle prestazioni; Giur. it., 2021, 2424, con nota di G.L. Canavesi, Manca il presupposto? Co.co.co., art. 2116 c.c. e formalismo della Corte di cassazione).
Ancora, deve essere ricordata Cass., sez. lav., 15 febbraio 2021, ForoPlus, la quale ha affrontato il tema della prescrizione dei contributi previdenziali, stabilendo che la denuncia del lavoratore o dei suoi eredi raddoppia il termine di prescrizione da cinque a dieci anni solo per i contributi maturati prima dell'entrata in vigore della l. n. 335 del 1995, e non per quelli successivi al 1° gennaio 1996 (in senso critico, v. R. Riverso, La tutela del lavoratore e la prescrizione dei contributi previdenziali, tra norme espresse ed esigenze di sistema, in Questione giustizia, 29 marzo 2022, secondo cui l’interpretazione della sentenza contraddice il significato letterale della norma e riduce la protezione della posizione contributiva del lavoratore).
IX. – Infine, sotto il profilo processuale, Cass., sez. lav., 14 maggio 2020, n. 8956, ForoPlus ha stabilito che nei giudizi promossi dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi sussiste il litisconsorzio necessario con l’istituto previdenziale, poiché la sentenza di condanna al versamento dei contributi costituisce un obbligo di fare che, in assenza dell'ente previdenziale, non avrebbe effetto nei suoi confronti.
L’orientamento giurisprudenziale che ne è seguito ha acceso un forte dibattito in dottrina (v. M. D’Oriano, Il litisconsorzio necessario dell’ente previdenziale nelle azioni a tutela della regolarità contributiva, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2023, 75; M. De Luca, Overruling processuale e sostanziale in materia di contributi previdenziali: tra affermazione del litisconsorzio necessario dell’ente previdenziale, in tutte le controversie nelle quali si pongano questioni di contributi, e negazione del diritto del lavoratore alla posizione contributiva, in Lav. dir. Europa, 2022, fasc. 2; V. Ferrante, Litisconsorzio necessario, danno ed imposizione contributiva: suggerimenti per intendere correttamente una recente sentenza di legittimità, in WP C.S.D.L.E. «Massimo D’Antona», IT-450/2022; R. Riverso, Sulle recenti «svolte» della Cassazione in tema di tutele del lavoratore nelle omissioni contributive, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2022, 1; P. Capurso, Diritto alla integrità contributiva e litisconsorzio necessario, cit., 2021, 570 ss.; S. Centofanti, Domanda di accertamento di omissioni contributive e insussistenza di litisconsorzio necessario con gli enti previdenziali, ibid., 554; C. Colosimo, Osservazioni di un giudice di primo grado, ibid., 535; G. Mammone, Controversie di lavoro e litisconsorzio con enti previdenziali. Per un inquadramento del tema, ibid., 529; R. Santoni Rugiu, Osservazioni di un giudice d’appello, ibid., 547; A. Giuliani, Litisconsorte o terzo? La posizione dell’ente previdenziale nelle controversie lavoristiche e la necessità di una prospettiva costituzionalmente orientata, in Variazioni su temi di diritto del lavoro, 2021, 1465; C.A. Nicolini,
A proposito di interesse ad agire e litisconsorzio, quando il lavoratore chiede la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi ... e non solo, in Arg. dir. lav., 2021, 156; P. Capurso, La condanna alla regolarizzazione contributiva o delle imprevedibili virtù del litisconsorzio necessario, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2020, 858) in ragione delle ricadute del revirement giurisprudenziale, tra cui, non ultima, la dichiarazione di nullità delle innumerevoli sentenze conformi al precedente orientamento della Suprema corte, che aveva sempre rigettato la tesi del litisconsorzio necessario, esito ancor più grave nelle non rare ipotesi in cui sia ormai decorso il termine di prescrizione, dovendo ricordarsi che «nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della n. 335, alla disponibilità delle parti, sicché una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva – non già preclusiva – in quanto l’ente previdenziale creditore non può rinunziarvi», con la conseguenza per cui il divieto di effettuare versamenti a regolarizzazione di contributi assicurativi dopo che sia intervenuta la prescrizione, «rispondendo a “ragioni di ordine pubblico”, opera di diritto indipendentemente dall’eccezione di prescrizione da parte dell’ente previdenziale e del debitore dei contributi ed è rilevabile d’ufficio, senza che l’assicurato abbia diritto a versare contributi previdenziali prescritti e ad ottenere la retrodatazione dell’iscrizione per il periodo coperto da prescrizione.
Né rileva l’eventuale inerzia dell’ente previdenziale nel provvedere al recupero delle somme corrispondenti alle contribuzioni, poiché il credito contributivo ha una sua autonoma esistenza, che prescinde dalla richiesta di adempimento avanzata dall’ente previdenziale stesso (vedi, per tutte: Cass., sez. lav., 15 ottobre 2014, n. 21830, ForoPlus; 24 marzo 2005, n. 6340, ibid.; 16 agosto 2001, n. 11140, Foro it., 2001, I, 3604; 5 ottobre 1998, n. 9865, ForoPlus; 6 dicembre 1995, n. 12538, ibid.; 19 gennaio 1968, n. 131, Foro it., 1968, I, 366, con osservaz. di G. Pera e nota di G. de Fina)» (cfr. Cass., sez. un., 17 novembre 2016, n. 23397, Foro it., 2017, I, 938, con nota di L.S. Gentile, Labor, 13 dicembre 2016, con nota di A. Zurlo, La cartella esattoriale non opposta non soggiace al termine prescrizionale decennale). Come rilevato dalla pronuncia in esame, l’insieme di queste decisioni lede l’effettività della tutela dei diritti sostanziali del lavoratore, creando un potenziale contrasto con il diritto europeo, ora al vaglio della Corte di giustizia.
Ekisa Bertillo da ForoNews 09/04/2025