
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 9 dicembre 2024, n. 31551;.
Non è nullo, ma giuridicamente inesistente il licenziamento
intimato successivamente alla formalizzazione dell’atto di
cessione dell’azienda dal datore di lavoro cedente, posto
che il rapporto si è già automaticamente trasferito al ces-
sionario, ai sensi dell’art. 2112, comma 1, c.c., con la con-
seguenza che per il ristoro degli eventuali danni subiti dal
lavoratore non si applica la disciplina risarcitoria dettata
dall’art. 18 l. 300/70 e il criterio della retribuzione globale
di fatto, bensì quella ordinaria riferita al risarcimento di
diritto comune.
Il recesso, perciò, in quanto tamquam non esset, non
può essere affetto da ingiustificatezza, illegittimità o nullità che
condurrebbero all’applicazione della tutela ex art. 18 l. 300/70
o della tutela ex art. 8 l. 604/66, trattandosi di un atto prove-
niente da soggetto estraneo al rapporto lavorativo, con con-
seguente impossibilità di ratifica da parte del cessionario. La
tutela che ne segue è perciò quella di diritto comune, perché
il rapporto deve considerarsi in essere e deve seguire la corre-
sponsione di tutte le retribuzioni medio tempore maturate, nei
limiti che saranno indicati
Nei suddetti termini la giurisprudenza della Corte deve
ritenersi oramai granitica da ultimo, in Cass. ord. 3235/24,
ForoPlus, si precisa che «secondo la giurisprudenza pacifica
e consolidata il licenziamento intervenuto dopo il
passaggio ex lege del rapporto di lavoro, garantito dall’effetto
legale ex art. 2112 c.c. in caso di cessione di azienda (o retro-
cessione), è tamquam non esset e non deve essere impugnato
in alcun termine di decadenza, perché non si discute nemmeno
di licenziamenti e della relativa disciplina.
La domanda svolta dal lavoratore in tali casi è intesa soltanto
a far valere l’effettività del passaggio; ad avvalersi, cioè, degli
effetti ex lege della cessione e non ad impugnare un licenziamento che per essere
intervenuto dopo il passaggio è inidoneo ad inficiare gli effetti
legali del passaggio ed a determinare alcuna estinzione del rap-
porto; anche per difetto di legittimazione sostanziale e di titola-
rità del rapporto in capo al cedente. Il rispetto della normativa
sui licenziamenti individuali, ivi compreso l’onere del rispetto
della impugnazione, deve ritenersi richiamato dall’art. 2112,
comma 4, c.c. solo per i casi di possibile recesso da parte del
cedente prima che l’effetto di continuità garantito dal comma 1
dell’art. 2112 c.c. possa esprimere i suoi effetti».
Negli stessi termini si era già pronunciata la sentenza n.
27322 del 26 settembre 2023, Foro it., Rep. 2023, voce Lavoro
(rapporto), n. 1204: «In caso di trasferimento di azienda, la ces-
sione dei contratti di lavoro avviene ope legis ex art. 2112 c.c.,
sicché il licenziamento intimato dal cedente successivamente
alla cessione è totalmente privo di effetti»; ed in precedenza
sentenza n. 8621 del 23 giugno 2001, id., Rep. 2002, voce cit.,
n. 1218: «Il licenziamento intimato da soggetto che non riveste
la qualità di datore di lavoro è totalmente privo di effetti, con
la conseguenza che, in tale ipotesi, non è configurabile alcun
onere di impugnazione
La conclusione presa è oggi avvalorata dall’art. 80 bis
d.l. 34/20, il quale esclude che tra gli atti di costituzione e di
gestione del rapporto di lavoro, menzionati dall’art. 38, comma
3, d.leg. n. 81 del 2015, rientri il licenziamento intimato dal da-
tore di lavoro apparente in quanto interposto. La norma è di in-
terpretazione autentica ed è quindi applicabile retroattivamente
anche a controversie sorte precedentemente alla sua entrata
in vigore. Essa è già stata estesa dalla Corte per identità
di ratio anche al c.d. appalto non genuino di servizi (Cass. n.
32412 del 22 novembre 2023, id., Rep. 2023, voce cit., n. 1045)
e richiamata anche a proposito del licenziamento intimato dal
cedente dopo la cessione di azienda (da Cass. 3235/24, cit.).
Pertanto, per concludere sul punto, occorre ribadire
che il licenziamento intimato a non domino, da un soggetto
effettivamente estraneo al rapporto (datore di lavoro formale,
apparente o comunque soggetto non legittimato), non sia ido-
neo in nessun caso ad esplicare effetti sul rapporto di lavoro
instaurato con il datore di lavoro sostanziale.
Il paradosso semantico del licenziamento «a non domino»
di Vincenzo Ferrari
Al fine di qualificare come giuridicamente inesistente il licen-
ziamento comminato dal datore di lavoro cedente, la decisione
che si riporta ne fornisce in motivazione la definizione di licen-
ziamento a non domino. Espressione icastica nel descrivere la
fattispecie che il giudice d’appello aveva inquadrato «quale ne-
gozio giuridico unilaterale inidoneo ad interrompere il rapporto
di lavoro ed in quanto emesso da soggetto estraneo al rapporto di
lavoro medesimo».
Tradizionalmente, nel linguaggio giuridico, la locuzione «a
non domino» ricorre in ipotesi caratterizzate da un acquisto a tito-
lo originario del diritto di proprietà, attraverso il compimento di
negozi astrattamente idonei a consentirne l’acquisto a titolo deri-
vativo, i cui effetti però non si producono per assenza di titolari-
tà del soggetto alienante. Appare, quindi, una sorta di paradosso
semantico che la locuzione venga usata — la si rinviene anche
in alcune decisioni di merito: v. Trib. Roma 3 giugno 2021, Foro
it., Rep. 2022, voce Lavoro (rapporto), n. 650, e la motivazione
di App. Roma 1° gennaio 2021, id., 2021, I, 4012, con nota di ri-
chiami — per qualificare l’inesistenza giuridica del licenziamento
intimato da soggetto che, per traslato dal «non proprietario», do-
vrebbe individuarsi come «non datore di lavoro».
Di esempi di acquisti della proprietà a non domino se ne danno
diversi: l’acquisto in buona fede di beni mobili ai sensi dell’art.
1153 c.c. (cfr. App. Milano 2 marzo 2012, id., 2012, I, 1579, con
nota di richiami); le ipotesi di usucapione abbreviata ex art. 1159,
1159 bis, 1160, comma 2, e 1162 c.c. (v. Cass. 23 febbraio 2012,
n. 2728, ibid., 1793, con nota di richiami, e 5 maggio 2009, n.
10356, id., 2010, I, 160, con nota di P. Pardolesi); l’acquisto del
terzo dal simulato alienante di cui all’art. 1415 c.c. (cfr. Cass. 11
agosto 1997, n. 7470, id., 1997, I, 3576, con nota di richiami);
l’acquisto del terzo in caso di annullamento del contratto previsto
dall’art. 1445 c.c. (v. Cass. 31 marzo 2011, n. 7468, id., 2011,
I, 3369, con nota di G. Paone, e sez. un. 28 ottobre 2009, n.
22755, id., 2009, I, 3317, con nota di G. De Marzo); l’acquisto
dall’erede apparente a norma dell’art. 534, comma 2, c.c.
Analogamente, in altre locuzioni del linguaggio giuridico —
ad esempio prohibente domino, che si riferisce al problema della
copertura assicurativa del veicolo posto in circolazione nono-
stante il divieto del proprietario (v. Cass. 30 maggio 2024, n.
15237, ForoPlus; 6 aprile 2022, n. 11247, Foro it., Rep. 2022,
voce Assicurazione (contratto di), n. 124, e id., gli Speciali, n.
del 2022, 9, con nota di V. CuoCCi) o, ancora, invito domino,
che stigmatizza un comportamento illecito posto in essere con-
tro la volontà del proprietario (cfr. Cass. pen. 20 luglio 2023, n.
31700, H.M., id., Rep. 2023, voce Violazione di domicilio, n. 12;
Corte cost. 24 aprile 2002, n. 135, id., 2004, I, 390, con nota di
richiami) — la declinazione della parola dominus corrisponde al
significato di «proprietario».
L’etimo latino di dominus [signore, padrone] nella semantica
giuridica si focalizza prevalentemente sul significato di «proprie-
tario», talvolta per stigmatizzare la posizione di dominio eser-
citata da un «non proprietario», nell’ambito dei diritti reali di
godimento (cfr. Cass. 6 novembre 2023, n. 30823, id., 2024, I,
525, con note di C. Bona e G. Spoto), della proprietà intellettuale
(Trib. Roma 30 luglio 2020, id., Rep. 2022, voce Diritti d’autore,
n. 131, e Annali it. dir. autore, 2021, 682, con nota di V. Bache-
let) o nell’acquisto di pacchetti azionari in ambito societario (v.
App. Roma 13 aprile 2022, Foro it., 2022, I, 2506,
In tema di usucapione, poi, l’espressione uti dominus
viene riferita all’animus possidendi, inteso come intenzione di
possedere, quale elemento necessario ai fini dell’acquisto della
proprietà a titolo originario (cfr. Cass. 19 giugno 2023, n. 17469,
id., 2023, I, 2444, con nota di G. Spoto).
Lo stesso etimo latino, tuttavia, viene in uso anche con esten-
sione dilatata rispetto al proprio significato intrinseco, allorché
con dominus viene individuato il titolare di una situazione giu-
ridica in senso lato, non necessariamente di tipo proprietario. In
ambito negoziale, ad esempio, è invalsa la figura del dominus ne-
gotii che individua il soggetto non agente nel cui interesse altri,
che ne abbia la rappresentanza, ponga in essere uno o più negozi
(cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1181, id., 2012, I, 1813, con nota di
M. Caputi). La contemplatio domini si realizza nel caso di spen-
dita del nome del rappresentato senza che sia necessario l’uso di
formule sacramentali, tanto per l’attività negoziale sostanziale,
quanto per quella processuale (v. Cass. 5 febbraio 2016, n. 2332,
id., Rep. 2016, voce Procedimento civile, n. 152; 28 giugno 2010,
n. 15412, id., 2011, I, 155, con nota di richiami).
L’uso dei brocardi latini consente espressioni icastiche, anche
se non sempre ne risulta apprezzabile il valore ermeneutico (sul
punto, cfr. V. Ferrari, Et in claris fit interpretatio, nota a Cass. 19
agosto 2024, n. 22922, id., 2024, I, 2700). Peraltro, il linguaggio
curiale o gergale arricchisce le ipotesi di termini latini asserviti a
significati distanti dall’etimo originario: dominus litis e «arbitro
delle sorti del processo» viene definito il difensore costituito in
giudizio (cfr. sez. un. 19 novembre 2024, n. 29812, ibid., 3153,
con nota di D. Dalfino), così come dominus «nella sua tipica
posizione di terzietà, il giudice, cui una delle parti del conflitto
si sia rivolta ai fini della composizione autoritativa dello stesso»
(v. Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 2023, n. 9677, ForoPlus, e
njus.it>, 13 novembre 2023, con nota di C. Tonola). L’avvo-
cato, poi, è dominus per eccellenza, sia in quanto titolare di uno
studio legale nel quale operino altri professionisti e praticanti (cfr.
Cass. 1° aprile 2008, n. 8445, Foro it., 2008, I, 3270, con nota di
G. Scarselli), sia rispetto ai sostituti d’udienza (specificamente
sul sostituto del difensore in udienza penale, v. Cass., sez. un., 28
febbraio 2006, Sossio, id., 2006, II, 427, con nota di richiami).
La figura del «non dominus» viene in rilievo solo rispetto al
significato di «proprietario apparente», sicché la traslazione verso
il concetto di «non datore di lavoro», per quanto icastica, si rivela
impropria nell’individuare una posizione datoriale meramente ap-
parente, a meno che non si vogliano confondere i concetti di «pro-
prietario» e «datore di lavoro». In ogni caso, il paradosso seman-
tico che ne scaturisce, di là da confuse sovrapposizioni di concetti
o contraddizioni logiche, svela un contenuto subliminale nascosto
che, riferendo la locuzione a non domino al ricordato etimo latino
di dominus, fa coincidere la figura del datore di lavoro, se non con
quella del «proprietario», pur sempre con quella del «padrone».