
Con sentenza n. 26938 del 17 ottobre 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della legittimità del licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro, concretizzatasi non già mediante materiale alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, bensì "con altre modalità fraudolente" e cioè la mancata registrazione/timbratura dell’uscita dall’ufficio, non autorizzata.
La Suprema Corte, nell'interpretare il D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, art. 55-quater, lett. a), ha affermato che la condotta di rilievo disciplinare se, da un lato, non richiede un'attività materiale di alterazione o manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, dall'altro deve essere oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, sicché anche l'allontanamento dall'ufficio, non accompagnato dalla necessaria timbratura, integra una modalità fraudolenta, diretta a rappresentare una situazione apparente diversa da quella reale (Cass. civ. n. 17367 del 2016 e Cass. civ. n. 25750 del 2016).
Il comma 1-bis dell'art. 55-quater - introdotto con il decreto n. 116 del 2016, stabilisce che “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso”.
La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare (Cass. civ. n. 17600 del 2021) che il legislatore del 2009, con il D.L.vo n. 165 del 2001, art. 55-quater, fermi gli istituti più generali del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, ha introdotto e tipizzato alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento.
La disposizione ha, dunque, introdotto una tipizzazione di illecito disciplinare da sanzionare con il licenziamento. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che (Cass. civ. n. 22075 del 2018) l'introduzione del D.L.vo n. 165 del 2001, art. 55-quater, comma 1-bis (avvenuta con il D.L.vo n. 116 del 2016) non ha portata innovativa, ma vale come interpretazione chiarificatrice del concetto di "falsa attestazione di presenza".
È falsa attestazione (prima e dopo la riforma) non solo la alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio.
Nell'eventuale contrasto tra legge e contrattazione collettiva prevale – in quanto imperativa – la disciplina legale, anche se meno favorevole al lavoratore.
A fronte di una fattispecie legale, si pone, quindi, il problema di verificare i principi che il giudice deve applicare nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall'Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma, e pertanto se il licenziamento sia una conseguenza automatica e necessaria, ovvero se l'Amministrazione conservi il potere-dovere di valutare l'effettiva portata dell'illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell'ipotesi in cui il fatto presenti i caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento
Sul punto si è affermato (Cass. civ., n. 18326 del 2016), con statuizione alla quale si intende dare continuità, che la norma cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell'elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta.
Ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare (licenziamento) una volta che risulti provata la condotta, permane la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso.
La disposizione normativa è stata, dunque, interpretata (si v. Cass. civ., n. 14199 del 2021) alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi e, pertanto, si è valorizzato il richiamo testuale all'art. 2106 c.c., per limitare l'imperatività assoluta espressa dalla norma al rapporto fra legge e contratto collettivo e per affermare che l'esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva (nella citata sentenza si rimanda alla giurisprudenza richiamata da Corte Cost. n. 123 del 2020 che, ponendo l’accento su questa interpretazione costituzionalmente orientata, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55-quater, prospettata dal Tribunale di Vibo Valentia).
Dunque, costituisce ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente non soltanto l'alterazione o la manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche la mancata registrazione delle uscite interruttive del servizio, senza che la tipizzazione della sanzione determini alcun automatismo espulsivo, rimanendo affidata al giudice di merito la verifica della proporzionalità e dell'adeguatezza del provvedimento disciplinare (Cass. civ., n. 30418 del 2023).
Fonte: Giovanna Spirito da Njus 17/10/2024