
Corte di cassazione civile, sez. lav., sent., 14 dicembre 2023 n. 35076
La Corte d'appello di Catania rigettava il reclamo proposto da A.A. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede in data 20.6.2019, che, in sede di opposizione del lavoratore all'ordinanza resa dallo stesso Tribunale nella fase sommaria del procedimento ex L. n. 92 del 2012, pure aveva rigettato l'impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 15.12.2015 dalla datrice di lavoro SMA Spa incorporata per fusione nel corso del giudizio di secondo grado in Margherita Distribuzione s.p.a..
Il primo giudice aveva ritenuto provati i fatti materiali addebitati al A.A., dipendente all'epoca di SMA, con mansioni di addetto al ricevimento merce, inquadrato al III livello del CCNL settore Commercio, consistenti nell'"aver illecitamente asportato merce di proprietà aziendale, omettendone completamente il pagamento per un importo complessivo pari ad Euro 45,99, in concorso con altra persona estranea all'azienda" in data 23.11.2015. Aveva, altresì, ritenuto che il comportamento accertato integrava una giusta causa di licenziamento, anche in conformità alla previsione del contratto collettivo.
Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale, violando le norme sul riparto dell'onere della prova, nonchè il diritto inviolabile di difesa dell'odierno lavoratore, ha errato nel considerare esistente il fatto contestato al A.A., sussistendo solo prove meramente indiziarie a suo carico e non consentendogli di offrire, come legittimamente richiesto, prova certa del contrario.
la Corte territoriale avrebbe omesso, in particolare, di pronunciarsi sull'assunzione della testimonianza del Sig. C.C. "sui capitoli di prova indicati in ricorso", ovvero sulle richieste istruttorie compiutamente e tempestivamente formulate nella prima fase di giudizio e legittimamente reiterate nel successivo grado di giudizio, sottratte dalle valutazioni di cui al citato art. 437 c.p.c.".
il Collegio avrebbe poi succintamente e inadeguatamente motivato la propria decisione in ordine al valore probatorio, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., ritenendo genericamente "non indispensabile" l'assunzione del teste C.C. sui nuovi articolati di prova dedotti in appello, risultando peraltro del tutto non pertinente il richiamo alle disposizioni dei testi D.D. e E.E., in ragione di quanto sopra già argomentato".
la Corte distrettuale avrebbe, in definitiva, in ragione di quanto già esposto, escluso, sulla base dell'acquisita "verità indiziaria", ogni ulteriore attività istruttoria e, dunque, non esaminato compiutamente elementi, risultati istruttori e il fatto storico contestato: "la sottrazione dei beni aziendali", la cui esistenza dedotta dagli atti processuali ha costituito oggetto di ampia discussione tra le parti". Secondo il ricorrente, non vi sarebbe "dubbio che l'assunzione della testimonianza decisiva dello C.C. avrebbe determinato una decisione di merito diversa da quella impugnata".
Giova premettere che il ricorrente per cassazione riferisce che nel proprio atto di reclamo aveva chiesto: "In via istruttoria, qualora ritenuta utile e conducente, ammettersi prova testimoniale del sig. C.C. sui capitoli di prova indicati in ricorso, o
La Corte d'appello, dopo aver dato conto che il reclamante "ritiene che gli indizi accertati non siano gravi precisi e concordanti e chiede di assumere la testimonianza sui fatti di causa di C.C., che potrebbe offrire un contributo decisivo in ordine alla ricostruzione dei fatti" (così alla fine del p. 1 dei motivi della sua decisione), si era espressamente pronunciata sulla relativa richiesta.
Il ricorrente assume che la stessa Corte, avendo "escluso, sulla base dell'acquisita "verità indiziaria", ogni ulteriore attività istruttoria", non avrebbe "esaminato compiutamente elementi, risultati istruttori e il fatto storico contestato", ossia, "la sottrazione dei beni aziendali", "la cui esistenza dedotta dagli atti processuali ha costituito oggetto di ampia discussione tra le parti".
Va ora considerato che L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59, recita(va): "Non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile".
Ebbene, tale disposizione era applicabile ratione temporis al procedimento di reclamo integrante il secondo grado di questo giudizio (di recente, infatti, l'intera disciplina del c.d. rito Fornero è stata abrogata come noto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, art. 37, comma 1, lett. e), con effetto dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'art. 35, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dalla L. n. 197 del 2022, art. 1, comma 380).
In merito a detta previsione,la Corte, di recente, ha affermato il seguente principio di diritto: "Prova nuova indispensabile, anche ai sensi del L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59, è quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado" (così Cass., sez. lav., sent. 10.1.2023, n. 401).
A sua volta tale sentenza ha così affermato, in relazione alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59, lo stesso principio di diritto che le Sezioni unite di questa Corte, nella sent. 4.5.2017, n. 10790, avevano affermato nella versione precedente la modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012 (ma ben tenendo conto che il medesimo concetto di indispensabilità della prova nuova in appello restava immutato in altre disposizioni, tra le quali appunto, per quello che qui interessa, l'art. 437 c.p.c., comma 2 e L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59).
La Cassazione con sentenza n. 401/2023 ., infatti, ha rilevato, tra l'altro, che la formula "li ritenga indispensabili ai fini della decisione", adottata nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59, a proposito di "nuovi mezzi di prova" in sede di reclamo "è sovrapponibile a quella contenuta nell'art. 437 c.p.c., comma 2, secondo cui, nei giudizi di appello contro la sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste dall'art. 409 c.p.c.. "Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, (...), salvo che il collegio, anche di ufficio, non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa""
Ininfluente, perciò, è il dato che la Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di procedere all'assunzione del teste C.C., abbia richiamato in punto di negata indispensabilità di tale prova l'art. 437 c.p.c., visto che a riguardo il paradigma normativo è identico a quello del L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 59.
Secondo la Corte, in tema di prova per presunzioni, spetta al giudice di merito non solo la valutazione dell'opportunità di fare ricorso alla stessa, ma anche l'individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l'accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: il relativo apprezzamento costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, la cui denuncia non può peraltro risolversi nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (così Cass., sez. I, 14.9.2022, n. 27070).