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Senior Associate Lawyer presso Studio Legale Magnanelli and Partners

Con sentenza n. 22905 del 19 agosto 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della portata applicativa della fattispecie esonerativa dell’obbligo di contribuzione, di cui all’art. 2, comma 34, della legge n. 92 del 2012.

L’art. 2 cit. ha istituito, presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, l’assicurazione sociale per l'impiego (ASpI, sostituita, per gli eventi verificatisi a partire dal 1° maggio 2015, dalla NASpI), con la funzione di fornire ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione un'indennità mensile di disoccupazione.

La norma individua la platea dei beneficiari, stabilisce i requisiti costitutivi del diritto e fissa gli oneri contributivi.

È previsto un obbligo contributivo, in capo al datore di lavoro, in tutti i casi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, idonei a generare il teorico diritto all'indennità, a prescindere dall'effettiva fruizione della stessa (art. 2, comma 31, della L. n. 92 del 2012).

Si tratta appunto del cd. «ticket di licenziamento» il cui versamento è escluso solo in presenza di dimissioni (non determinate da giusta causa) o di risoluzione consensuale del rapporto; in quest’ultimo caso, salva l’ipotesi in cui la risoluzione avvenga all’esito del tentativo obbligatorio di preventiva conciliazione previsto nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, comma 7, della L. n. 604 del 1966, come novellato dall’art. 1, comma 40, della L. n. 92 del 2012.

Alla regola, fanno, tuttavia, eccezione alcune ipotesi che sono quelle espressamente previste dal comma 34 del medesimo art. 2.

Tra queste, vi è l’«interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere» .

Il contrasto verte in merito all’individuazione dei presupposti per l’operatività dell’esonero; in particolare, sull’esatto significato da attribuire alla seguente indicazione: «per completamento delle attività e chiusura del cantiere».

Si deve ritenere sussistente il «completamento delle attività» solo in caso di ultimazione dei lavori edili programmati.

Tale soluzione interpretativa è maggiormente aderente alla lettera e alla natura della disposizione che deroga al generale obbligo di contribuzione imposto per legge in caso di recesso datoriale dal rapporto di lavoro.

La fattispecie normativa delinea un’eccezione alla regola

Essa stabilisce un beneficio sul piano contributivo; come tale, non è estensibile al di fuori dell’ipotesi espressamente contemplata.

Per la Suprema Corte «il completamento dell’attività e la chiusura del cantiere» di cui all’art. 2, comma 34, lett. b) della L. n. 92 del 2012 si riferisce, in via esclusiva, all’ipotesi dell’esaurimento del cantiere per l’avvenuta ultimazione del ciclo dei lavori, in senso tecnico (la cd. fine lavori).

Sono, invece, estranee al perimetro di applicazione della disposizione differenti ipotesi di chiusura del cantiere ancorché derivanti da interruzioni dei lavori, per così dire necessitate, che pure possono costituire causa legittima di risoluzione di rapporti di lavoro.

L’art. 2, comma 34, lett. b), della L. n. 92 del 2012 partecipa delle norme di carattere premiale che, sotto forma di abbattimento del contributo, intende favorire quegli imprenditori che, nel settore edile, portano a compimento tutte le fasi dei lavori e pervengono al completamento degli stessi.

Così individuata la portata della disposizione, l’esegesi restrittiva qui proposta è coerente con l’insegnamento della Suprema Corte che, in presenza di situazioni eccettuative rispetto ad un ordinario regime contributivo, ritiene la relativa normativa di stretta interpretazione (Cass. civ. n. 12092 del 2018; Cass. civ. n. 17447 del 2014; Cass. civ. n. 18710 del 2013).

Sia pure occupandosi di differenti fattispecie esonerative e/o agevolative rispetto al contenuto di normali obbligazioni contributive, la giurisprudenza di legittimità ha sempre escluso la possibilità di estendere i benefici al di fuori dei casi normativamente disciplinati (per tutte, v. Cass. civ. n. 1767 del 2021) e ciò sul presupposto, appunto, della natura derogatoria che connota tali discipline.

Fonte: Giovanna Spirito da Njus 19/08/202