
Civile Ord. Sez. L Num. 10648 Anno 2025
1. il Tribunale di Agrigento condannava la coop. sociale
al pagamento della somma di € 41.003,89 a titolo di
compenso per lavoro straordinario e notturno (e correlate
differenze di 13a mensilità) in favore del dipendente e,
educatore 5° livello CCNL Cooperative sociali, in
relazione ai servizi di reperibilità notturna, svolti 2 notti a
settimana immediatamente dopo il turno di lavoro
pomeridiano/serale, per complessive 48 ore settimanali;
2. la Corte d’Appello di Palermo riformava la sentenza di
primo grado, con rigetto del ricorso di primo grado, ritenendo le
modalità di presenza notturna quali emerse dal compendio
probatorio sussumibili nell’art. 57 CCNL applicato al rapporto
(che disciplina la reperibilità con pernottamento) e non nell’art.
53 (lavoro straordinario, ovvero oltre l’orario settimanale
ordinario di lavoro stabilito in 38 ore settimanali, ai sensi
dell’art. 51);
per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di
Palermo ha proposto ricorso il lavoratore, sulla base di 8 motivi;
la cooperativa sociale ha resistito con controricorso; entrambe
le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di
consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
i primi sette motivi, da trattare congiuntamente per
connessione, tutti implicando l’esame della nozione di orario di
lavoro ai sensi della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente
taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, sono
fondati per quanto di ragione;
10. l’odierno ricorrente ha allegato di avere effettuato, nel
periodo in contestazione, turni di lavoro che determinavano il
superamento dell’orario di lavoro settimanale di 38 ore, in forza
di pernottamenti notturni presso la struttura in regime di
reperibilità, e di non essere stato correttamente o
adeguatamente retribuito, richiedendo il pagamento di
straordinari notturni;
la Corte d’Appello ha ritenuto la fattispecie
compiutamente disciplinata dall’art. 57 del CCNL cooperative
sociali applicato al rapporto, che dispone che: “Nei casi di servizi
residenziali continuativi alle lavoratrici e ai lavoratori cui è
richiesta la reperibilità con obbligo di residenza nella struttura
secondo un’apposita programmazione, oltre alla normale
retribuzione, verrà riconosciuta un’indennità fissa mensile lorda
di €. 77,47.... Gli orari di reperibilità compresi nelle ore di
riposo, notturno e/o diurno, nonché per la consumazione dei
pasti non sono ovviamente conteggiati ai fini del computo
dell’orario di lavoro così come definito all’art. 51”;
osserva il, Collegio che, in base ai principi espressi dalla
Corte di Giustizia UE (Sentenze Simap - 3 ottobre 2000, causa
C- 303/98; Jaeger - 9 settembre 2003, causa C-151/02), i
periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di
lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”; a
maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica
sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una
sostanziale disponibilità nei confronti di quest’ultimo, al fine di
intervenire immediatamente in caso di necessità:
anche in più recenti decisioni del 21 febbraio 2018 (causa
C- 518/15, Ville de Nivelles c. R. Matzak) e del 9 marzo 2021
(causa C-344/19 - D.J. contro Radiotelevizija Slovenija e causa
C-580/19 – R.J. contro Stadt Offenbach am Main) è stato
riaffermato che la reperibilità costituisce orario di lavoro (con le
corrispondenti obbligazioni datoriali sul pagamento della
retribuzione) nel caso in cui i vincoli imposti al lavoratore in
regime di reperibilità comprimano significativamente la facoltà
del medesimo lavoratore di gestire liberamente, nel corso dello
stesso periodo, il proprio tempo libero;
è utile richiamare in proposito alcuni significativi passaggi
delle conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C- 580/19
(recepite nella relativa sentenza), che riassumono e aggiornano
i principi elaborati dalla giurisprudenza CGUE in materia: “.
La direttiva 2003/88 ha come obiettivo quello di fissare
prescrizioni minime destinate a migliorare la tutela della salute
e della sicurezza sui luoghi di lavoro, obiettivo che viene
raggiunto, tra l’altro, mediante il ravvicinamento delle
disposizioni nazionali riguardanti l’orario di lavoro. Questa
aspirazione è un elemento chiave nella costruzione del diritto
sociale europeo (…) 41. Attraverso le suddette previsioni è
attuato l’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, che,
dopo avere riconosciuto, al suo paragrafo 1, che «ogni
lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e
dignitose», dispone, al paragrafo 2, che «ogni lavoratore ha
diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a
periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie retribuite».
Tale diritto si collega direttamente al rispetto della dignità
umana tutelata in modo più ampio nel titolo I della Carta (…)
. Come precisato in più occasioni dalla Corte, le nozioni di
«orario di lavoro» e di «periodo di riposo», ai sensi della
direttiva 2003/88, costituiscono nozioni di diritto dell’Unione che
occorre definire secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al
sistema e alla finalità di tale direttiva, intesa a stabilire
prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e
di lavoro dei dipendenti (…)
La Corte adotta, dunque, un approccio decisamente binario:
il tempo del lavoratore è lavoro o è riposo. Le nozioni di «orario di lavoro
e «periodo di riposo», infatti, «si escludono a vicenda». Allo stato attuale del
diritto dell’Unione, «le ore di guardia trascorse da un lavoratore
nell’ambito delle sue attività svolte per il datore di lavoro devono
essere qualificate come “orario di lavoro” o come “periodo di
riposo”» (…) . La Corte, già dalle prime pronunce sul tema,
ha distinto le due ipotesi di: 1) servizio di guardia svolto secondo
un regime di presenza fisica sul luogo di lavoro (periodo di
guardia sul luogo di lavoro) e 2) servizio di guardia secondo il
sistema per cui i lavoratori devono essere reperibili in
permanenza senza per questo essere obbligati ad essere
presenti nel luogo di lavoro (periodo di reperibilità continuativa).
La prima ipotesi non crea particolari problemi interpretativi,
essendo ormai pacifico che un lavoratore, obbligato a essere
presente e disponibile sul luogo di lavoro per prestare la sua
opera professionale, dev’essere considerato nell’esercizio delle
sue funzioni e, pertanto, in orario di lavoro, anche per il tempo
in cui non svolge in concreto attività lavorativa”;
dunque, secondo la nozione UE, la definizione di “orario di
lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con
reciproca esclusione delle due nozioni; e, all’evidenza, l’obbligo
di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non
determinante interventi di assistenza, comprime
significativamente la gestione del proprio tempo, che non è più
tempo libero, da parte del lavoratore interessato; come spiegato
dalla CGUE (§ 36, sentenza del 9 marzo 2021 in causa C-
580/19, cit.), la “Corte ha considerato che, nel corso di un
periodo di guardia del genere, il lavoratore, tenuto a permanere
sul luogo di lavoro all’immediata disposizione del suo datore di
lavoro, deve restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale
e beneficia di una minore libertà di gestire il tempo in cui non è
richiesta la sua attività professionale. Pertanto, l’integralità di
siffatto periodo deve essere qualificata come «orario di lavoro»,
ai sensi della direttiva 2003/88, a prescindere dalle prestazioni
di lavoro realmente effettuate dal lavoratore nel corso di
suddetto periodo" (cfr. Cass n. 32418/2023, n. 34125/2019;
nella stessa decisione, peraltro, viene affermato (§ 56)
che “è necessario ricordare che, eccezion fatta per l’ipotesi
particolare di ferie annuali retribuite, di cui all’articolo 7,
paragrafo 1, della direttiva 2003/88, quest’ultima si limita a
disciplinare taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro
al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute dei
lavoratori, cosicché, in linea di principio, essa non si applica alla
retribuzione dei lavoratori (…); pertanto (§ 57) “la modalità di
retribuzione dei lavoratori per i periodi di guardia rientra
nell’ambito non della direttiva 2003/88, bensì di quello delle
disposizioni pertinenti di diritto nazionale. Suddetta direttiva
non osta di conseguenza all’applicazione della disciplina di uno
Stato membro, di un contratto collettivo di lavoro o di una
decisione di un datore di lavoro il quale, ai fini della retribuzione
di un servizio di guardia, prenda in considerazione in modo
differente i periodi nel corso dei quali sono state realmente
effettuate prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non è
stato realizzato nessun lavoro effettivo, anche quando i periodi
in parola devono essere considerati, nella loro integralità, come
«orario di lavoro» ai fini dell’applicazione della summenzionata
direttiva”;
dunque, la ricostruzione in termini di dicotomia tra orario
di lavoro e periodo di riposo, in base alla normativa dell’Unione
europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come
attuata nella normativa italiana, non determina di per sé che il
turno di reperibilità notturno debba essere retribuito come
lavoro straordinario notturno (come richiesto in via principale da
parte ricorrente); ma nemmeno giustifica la sua mancata
considerazione ai fini retributivi (o quantomeno adeguatamente
indennitari), approdo al quale sembra, invece, giunta la
sentenza gravata sussumendo la fattispecie nella previsione di
cui all’art. 57 CCNL applicato al rapporto;
infatti, la Corte territoriale non ha considerato, ai fini
dell’eventuale disapplicazione, l’entità del compenso prevista su
base giornaliera o mensile dal CCNL per i servizi di reperibilità
notturna prestati presso la struttura costituente luogo di lavoro,
entità che, in ogni caso, deve essere conforme al principio di
retribuzione proporzionata e dignitosa, secondo
un’interpretazione costituzionalmente orientata della
normativa;
in proposito, questa Corte ha di recente chiarito che,
nell'attuazione dell'art. 36 Cost., il giudice deve fare riferimento,
quali parametri di commisurazione, in via preliminare alla
retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di
categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex
officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi
di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art.
36 Cost. (Cass. n. 27711, n. 27713, n. 27769/2023; cfr. anche
Cass. n. 28320, n. 28321, n. 28323/2023);
pertanto, in accoglimento dei primi sette motivi di ricorso
per quanto di ragione, con assorbimento dell’ottavo, la sentenza
impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte
d’Appello in diversa composizione, per il riesame della
fattispecie concreta attenendosi ai seguenti principi di diritto:
“in base alla normativa dell’Unione europea, come interpretata
dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana,
la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a
quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni;
l’obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento
presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi
di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere
adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali
prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di
proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art.
36 Cost.”;