Trib. Roma, sez. lav., sent. 10 settembre 2024; Giudice Savignano

 

Con la sentenza n. 8708/ 2024 il Tribunale civile di Roma, sezione lavoro, ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni ,iure proprio e iure hereditatis, subito dagli eredi di un lavoratore deceduto a causa di un mesotelioma pleurico circa ventidue anni dopo la cessazione del rapporto, condannando al pagamento soltanto l'ultimo dei datori di di lavoro e non ritenendo necessario integrare il contraddittorio con i precedenti.

Nelle sue sessanta pagine di decisione il giudice capitolino, dopo aver respinto un’eccezione di inammissibilità del ricorso legata alla conclusione di un accordo in sede protetta, ripercorre diffusamente l’elaborazione giurisprudenziale intervenuta sull’art. 2087 c.c. ,anche in relazione alle norme speciali in materia di infortuni sul lavoro statuendo che :

,-il regime normativo di cui all'art 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva bensì per colpa contrattuale;

-determina una inversione dell’onere della prova, trattandosi di inadempimento contrattuale, è posto a carico del lavoratore l' onere di allegazione quanto alla mancata predisposizione da parte del datore delle misure idonee a prevenire il danno; mentre l'onere della prova sull' assenza del nesso di causalità è posto a carico del datore di lavoro.

La decisione in commento dimostra in primo luogo come la giurisprudenza giuslavoristica sia sostanzialmente rimasta impermeabile, all’elaborazione giurisprudenziale civilistica in tema responsabilità contrattuale, ed in particolare quanto al conseguente riparto degli oneri probatori sul nesso di causalità,

il Tribunale di Roma ricostruisce poi le mansioni svolte dal lavoratore tramite un analitico commento della prova orale e – quanto al profilo soggettivo – puntualizza che, sebbene solo con la direttiva 83/477/Cee del 19 settembre 1983 sarebbe stato adottato il primo provvedimento specifico in materia di amianto, cui avrebbe fatto seguito il d.leg. n. 277 del 1991, la colpa della resistente deriva dall’inosservanza delle regole contenute nel d.p.r. n. 547 del 1955 recante norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e nel d.p.r. n. 303 del 1956 recante norme generali per l’igiene del lavoro: le quali prevedono misure minuziosamente descritte dalla sentenza,

il tema pretermesso dal Tribunale di Roma è l’idoneità o inidoneità delle regole dettate dalla citata normativa ad evitare l’evento di danno specificamente patito dal lavoratore, viste le peculiari caratteristiche delle fibre di amianto, così come non viene approfondito quale fosse lo stato delle conoscenze scientifiche all’epoca dei fatti denunciati.

Quanto al nesso di causalità, tramite la c.t.u. ambientale vengono ricostruite le varie esposizioni, in tesi occorse, sia fra il settembre 1967 e il settembre 1972 presso i datori di lavoro precedenti, ove era fatto un uso importante dell’amianto, con conseguente esposizione del lavoratore a fibre aerodisperse, sia fra il 1972 e il 1982, cioè, prima dell’entrata in vigore dei limiti-soglia normativamente previsti, di cui il giudicante postula una applicazione retroattiva.

Il Tribunale del lavoro di Roma , tramite la c.t.u. medico-legale riconosce la efficacia eziologica rispetto alla contrazione della patologia denunciata, ancorché «allo stato dei fatti e delle conoscenze, è in concreto irrisolvibile la questione relativa alla esatta percentualizzazione della specifica forza causale ovvero della predominanza dell’una o dell’altra esposizione, a ognuna delle quali […] non può quindi che attribuirsi un pari ruolo causale»:

Da tale affermazione si ricava una perplessa applicazione dell’art. 2055 c.c. – in quanto la c.d. trigger dose(dose Killer) (Cass. 10578/2018, Foro it., Rep. 2018, voce Responsabilità civile, n. 87) – ossia la prima inalazione di fibra d'amianto, rilevante al fine  della futura contrazione della patologia, può aver avuto luogo solo nel corso di una esposizione.

Bruno Tassone da ForoNews 14/01/2025