
Demansionamento e danno non patrimoniale
Cass. Civile Ord. Sez. L Num. 3400 Anno 2025
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 1615/2021,
ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede
che, senza svolgimento di attività istruttoria, aveva accolto le
domande proposte dal lavoratore nei confronti della Società
, di cui era dipendente con inquadramento nel V livello,
dichiarando l’avvenuto demansionamento dall’1.4.2018 e
condannando la società a reintegrarlo nelle mansioni
precedentemente svolte o in altre equivalenti e a risarcirgli il danno
alla professionalità liquidato equitativamente in euro 13.500,00, oltre
accessori.
2. La Corte territoriale, a fondamento della propria decisione, ha
rilevato che: a) era pacifico che lil lavoratore fosse inquadrato nel V livello
del CCNL; b) ciò che caratterizzava tale livello erano le elevate
conoscenze specialistiche, l’adeguata autonomia e decisionalità da
esercitarsi o mediante il coordinamento ed il controllo delle risorse
assegnate o mediante lo svolgimento di compiti specialistici ad
elevato contenuto tecnico; c) raffrontando le allegazioni svolte dalla
società e dal lavoratore in relazione alle mansioni svolte in concreto,
si evinceva che queste non richiedevano il possesso delle
caratteristiche sopra evidenziate né rientravano in quelle della figura
dell’operatore specialista in customer care; d) corretta, pertanto, era
la statuizione del primo giudice secondo cui i compiti svolti
dal lavoratore ientravano in quelli del III livello; e) in ordine al patito
danno, il lavoratore aveva soddisfatto l’onere probatorio a suo carico
e, considerando vari elementi tra cui una precedente breve durata in
una pregressa riassegnazione alle corrette mansioni, la lunga durata
del rapporto lavorativo, la competenza professionale in possesso del
lavoratore il cui ambito di assegnazione era interessato da una rapida
e continua innovazione, il periodo triennale del demansionamento
patito, era congrua la quantificazione operata in via equitativa dal
primo giudice, pari ad euro 1.000,00 per ogni mese del periodo di
dequalificazione.
3. Avverso la sentenza di secondo grado la società ha
proposto ricorso per cassazione cui ha resistito
con controricorso il lavoratore
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2103 e 2697 cc e dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 360
n. 1 cpc, per avere errato la Corte territoriale nell’avere ritenuto che
e mansioni svolte dal lavoratore, come descritte nell’atto introduttivo
del giudizio, fossero simili a quelle emerse dalle allegazioni di essa
società, quando, invece, erano diverse perché le attività espletate
dall’originario ricorrente non erano di semplice risposta al call center
ovvero di attività svolte secondo iter definiti, bensì richiedevano
conoscenze di natura tecnica di un certo spessore, e per avere errato
la Corte territoriale nella individuazione dei compiti relativi alla
declaratoria contrattuale del V livello caratterizzato non da una
autonomia piena, ma da una autonomia di carattere operativo, così
come emergeva nella descrizione dell’Operatore specialista di
customer care che era stata scambiata, invece, con quella del Tecnico
programmatore.
3. Il motivo non è meritevole di accoglimento presentando profili
di inammissibilità e di infondatezza.
4. E’ infondato nella parte in cui si denuncia, in pratica, un
erroneo giudizio di sussunzione del fatto (mansioni assegnate al
lavoratore) nella ipotesi contrattuale collettiva (nel terzo livello e non
nel quinto).
5. Invero, l’accertamento espletato dalla Corte di appello per la
determinazione dell'inquadramento spettante al lavoratore risulta
conforme agli insegnamenti di questa Corte che ha chiarito come il
giudice del merito, allorché si tratti di individuare, ai fini dell'accertamento
di un eventuale demansionamento, la pertinenza, delle mansioni svolte in
concreto, rispetto ad una determinata posizione funzionale, deve seguire
un procedimento logico-giuridico che non può prescindere da tre fasi
successive, costituite dall'accertamento in fatto delle attività lavorative
in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto
collettivo di categoria, nonché dal raffronto tra il risultato della prima
indagine e le previsioni della normativa contrattuale individuati nella seconda
(Cass. n. 7123/2014; Cass. n. 20272/2010).
6. Nel caso concreto, la valutazione compiuta dal giudice di
secondo grado si sottrae alle censure che le sono state mosse, atteso
che la Corte distrettuale ha valutato compiutamente il contenuto
professionale delle mansioni in concreto assegnate al dipendente non
cogliendo (a prescindere dal richiamo non corretto alla qualifica di
Operatore specialista di customer care), nelle stesse, i tratti
qualificanti del V livello (id est quello dei lavoratori che «[...] svolgono
funzioni per l'espletamento delle quali è richiesta adeguata autonomia
e decisionalità nei limiti dei principi, norme e procedure [...] esercitate
attraverso [....] ovvero mediante lo svolgimento di compiti
specialistici di elevata tecnicalità»), rispetto a quelli del III livello, in
particolare, evidenziando, che tanto nelle mansioni in concreto svolte
quanto nella declaratoria del predetto terzo livello erano del tutto
assenti il carattere dell’autonomia e la funzione di controllo e gestione
delle risorse nonché la elevata specialità e tecnicalità dei compiti e
precisando che: a) le mansioni assegnate non richiedevano elevate
conoscenze specialistiche tenuto conto della procedimentalizzazione
della lavorazione delle chiamate dell’utenza e del preponderante
utilizzo di software in grado di effettuare la individuazione dei
malfunzionamenti in modo del tutto autonomo rispetto all’operatore;
b) il lavoratore, senza alcuna autonomia, seguiva un protocollo
rigidamente standardizzato; c) lo stesso non era chiamato a svolgere
attività di coordinamento e controllo delle risorse assegnate, non
risultando che fosse a capo di un gruppo di operatori e potesse
intervenire attivamente sugli apparati tecnici utilizzati.
8. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1223, 2103, 2697 cc e dell’art. 115 cpc
criticando la quantificazione del danno alla professionalità riconosciuto
in relazione alle sue conoscenze e nozioni tecniche, andate
asseritamente distrutte per effetto dell’adibizione a mansioni diverse
ed inferiori e con riguardo al parametro di liquidazione individuato in
modo irragionevole e superiore al parametro solitamente riconosciuto
pari ad una percentuale ben più ridotta della retribuzione mensile
prevista per il livello contrattuale di appartenenza.
9. Anche tale motivo non è fondato.
10. In tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportament lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti. La relativa prova spetta al lavoratore, il quale tuttavia non deve necessariamente fornirla per testimoni, potendo anche allegare elementi indiziari gravi precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione (Cass. n. 24585/2019; Cass. n. 21/2019).
11. Nel caso in esame, le statuizioni della Corte territoriale
sono in linea con i principi di legittimità sopra menzionati, avendo i
giudici di seconde cure correttamente tratto elementi presuntivi della
sussistenza del danno dalla qualità delle mansioni svolte, dalla durata
del demansionamento subito, dalle modalità dell’inadempimento della
società (che aveva reiterato la condotta di dequalificazione) nonché
dalla velocità dell’evoluzione tecnologica del settore cui il dipendente
era addetto e di cui era stato in sostanza privato.
12. Quanto alle censure sul criterio di quantificazione del
danno, determinato dai giudici di merito in euro 1.000,00 per ogni
mese del periodo di dequalificazione, va osservato che si tratta di
liquidazione equitativa che è suscettibile di rilievi in sede di legittimità
sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se difetti totalmente di
giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune
esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto
o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione
risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto:
ipotesi, queste, non ravvisabili nella fattispecie ove la misura
dell’importo mensile è stato ancorato alla oggettiva differenza tra le
mansioni cui il lavoratore era stato adibito prima dell’aprile del 2018
con quelle successive, in un contesto in cui si trattava di una nuova
riassegnazione a mansioni di livello inferiore dopo un adempimento di
un ordine giudiziale di riassegnazione alle corrette mansioni.
13. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso è stato rigettato.